Squarci di beatitudine

Ho studiato per anni, e studio, le varie religioni, e non solo.
Tra le altre cose ho frequentato per quattro anni una scuola per insegnanti di Hatha Yoga conseguendo il relativo attestato. Ho deciso di rinunciare all’insegnamento dello Yoga per una serie di motivi, che qui però non affronto, ma ho pensato che potesse essere interessante per voi leggere la tesi sulla sequenza da me preparata per il mio esame. Tralascio la sequenza pratica e relativa analisi (che sarebbero 16 pagine), e vi lascio l’introduzione e l’analisi della tecnica da me presentata.

L’avevo già pubblicata anni addietro in un blog sul quale scrivevo. Se vi dovesse capitare di fare una ricerca e di trovare l’articolo in questione vi ricordo che è sempre farina del mio sacco. 😉

A ogni modo alcuni passi potrebbero risultare oscuri a chi non ha conoscenze sul tema, ma chi volesse può contattarmi per avere chiarimenti al riguardo. Alcune tecniche non vengono descritte in maniera approfondita, perché nella tesi, rivolgendomi agli esaminatori, non era necessario, trattandosi di tecniche utilizzate abitualmente da chi pratica Yoga da diversi anni.

(Kriya vuol dire “azione”, ma viene spesso inteso come “azione purificatrice”.)

NB: Non sono da confondere le tecniche di Kriya Yoga alle quali mi riferisco in questo post, insegnate da Swami Satyananda Saraswati, con il Kriya Yoga descritto da Paramahansa Yogananda nella sua autobiografia.

SHAMBHAVI KRIYA

Introduzione:
La pratica dello Yoga può portare ad autentiche folgorazioni, esperienze difficilmente trasmissibili a parole. Il praticante può arrivare a provare stati di coscienza molto elevati, raggiungendo a volte l’autentica beatitudine, Ananda.
Sono momenti che aprono le porte ad un nuovo modo di vedere le cose, il mondo, lo Yoga. Sono squarci d’Assoluto non spiegabili razionalmente.
La scelta di portare una sequenza che sviluppi questo Kriya è nata dall’esperienza, per me straordinaria, vissuta quando durante l’annualità di Kriya Yoga lo abbiamo sperimentato per la prima volta. Ho provato una gioia indescrivibile.
Dopo la pratica abbiamo parlato degli effetti di Shambhavi Kriya e mi sono reso conto che ero stato l’unico a provare questa gioia, questa felicità. E ho compreso che la vera scienza, Vidya, dello Yoga può portare il praticante molto più in là di quello che è in grado d’immaginare nella sua più sfrenata fantasia.
Così quando si è trattato di decidere quale tema portare all’esame ho sentito dentro di me una spinta a lavorare sul presente Kriya. Ho provato piacere nel scegliere il tema e nel lavorarci, così come mi auguro possa portarne a chi avrà modo di praticare la sequenza.
*: Shambhavi è uno dei nomi attribuiti a Parvati, e nei testi da me ritrovati sul web viene definita con questo termine come madre del mondo. Normalmente però il termine viene relazionato maggiormente a Shambhavi Mudra sulla quale genesi ci sono varie storie.
Shambhavi viene definita la consorte di Shambhava, altro nome di Shiva, il quale termine viene da Shambhu, che significa trascendente, senza pensiero, nato con la pace in sè.
Interessante notare poi che secondo alcune tradizioni del lamaismo tibetano, questo sarebbe stato fondato da un monaco chiamato Shambhava Padma, nato da un fior di loto. Avendo il buddismo tantrico tibetano e lo Hatha Yoga grosse analogie come più volte ribadito soprattutto nei seminari estivi, ho trovato la cosa importante da menzionare.

Analisi del Kriya:
Shambhavi Kriya fa parte dei venti Kriya*, da noi studiati nella relativa annualità, dove vengono eseguiti dei circuiti mentali che hanno una relazione diretta con l’Assoluto.
Ognuno di questi circuiti, che rappresentano un’analogia tra macrocosmo e microcosmo, ha un potere enorme. Sono dei percorsi privilegiati per l’espressione delle forze cosmiche. Questi sono pre-esistenti in noi, e così possiamo riattivarli con un’azione consapevole attraverso l’utilizzo dell’attenzione, Jagrat, usando la potenza della volontà, Iccha Shakti. Risulta così chiaro che questa riattivazione, quando realizzata, porterà a lavorare con il Prana Cosmico che è innumerevoli volte più potente del prana umano.
(La cosa in realtà ovviamente non è così semplice. Questo anche perché la relazione con lo Yoga, le relative tecniche, così come i tempi per realizzarle, sono troppo personali.)
Il presente Kriya riprende l’analogia tra il Merudanda, l’asse del cosmo, e la colonna vertebrale, l’asse terrestre, presente in ogni essere umano.
Interessante notare l’aspetto simbolico del fiore di loto che in questo caso visualizziamo nella localizzazione simbolica del Sahasrara, il settimo centro.
Sahasrara (“dai mille petali”), come studiato nell’annualità di Kundalini Yoga, non è un chakra, ma essendo ricollegato a livello di analogia micro-macrocosmica al pianeta Saturno, il signore del Tempo, generatore del Serpente cosmico, si trova all’esterno del tempo stesso e del conosciuto, quindi in una sfera che è al di fuori della coscienza ordinaria, e di tutti gli stati di coscienza elevati.
Sahasrara È nell’aldilà, in una sfera trascendente.
Come sappiamo il loto raffigura la purezza che si staglia oltre la palude dove affonda le radici, proprio come Sahasrara è oltre il corpo grossolano. Nell’attribuzione di Shambhavi Kriya le radici bianche (che rappresentano comunque la purezza delle fondamenta ) si espandono da Muladhara (“il fondamento della radice”) e lo stelo verde del fior di loto parte sottile da questo chakra attraversando la colonna vertebrale e parte del cranio per poi arrivare alla corolla rosa collocata, come abbiamo detto, sulla sommità della testa in Sahasrara.
Nella tradizione indiana il loto rosa è “il loto supremo”, quello riservato alle creature divine, mentre un’altra attribuzione simbolica viene data allo stelo che può essere piegato facilmente, ma è molto duro da spezzare a causa delle sue fibre fittamente intrecciate. Il suo colore verde (colore presente anche nella bandiera indiana) rappresenta la prosperità.
Teniamo il Khechari Mudra, che sarà fondamentale nel ritorno, respirando in Ujjayi.
L’Ujjayi (lett.:”grido di vittoria che va in alto”, ma anche “grido del vincitore”), che realizziamo con una chiusura parziale dell’epiglotide, pone sotto controllo della mente volontaria (come studiato nell’annualità di Prana Vidya) le fasi respiratorie naturali, e riporta il praticante a centrarsi.
Distaccandoci dal mondo esterno e slegandoci dagli organi di senso a occhi chiusi, inspiriamo partendo dalle radici e risalendo nell’inspiro all’interno dello stelo fino a raggiungere Sahasrara. La nostra colonna vertebrale diventa così il collegamento tra il livello grossolano e lo stato trascendente.
In Sahasrara alla fine dell’inspiro facciamo una ritenzione a pieno e vediamo il bocciolo che si apre e si chiude varie volte diventando un bellissimo fiore di loto, fino a quando il nostro respiro non richiede l’espiro.
Questo movimento del fiore ha una notevole potenza.
La ritenzione a pieno rappresenta il contatto con l’esterno. In questo caso addirittura, essendo la nostra attenzione focalizzata prevalentemente sul loto, siamo in contatto con l’assoluto, con il centro che ci porta al contatto con il tutto. L’apertura e la chiusura del fiore poi oltretutto rappresentano nella ritenzione a pieno una forma di “respirazione” non fisica, ma pranica, in relazione cioè con il Prana Cosmico.
L’apertura rappresenta l’inspiro pranico e la chiusura l’espiro pranico che essendo localizzato in questo caso in Sahasrara ci porta nelle condizioni di entrare, se il Kriya è eseguito correttamente, in una condizione cosmica, che porta a far sì che l’Amrita, l’ambrosia, il nettare degli Dei, ci nutra.
Il Khechari mudra, con la lingua rivolta verso il palato molle impedisce la discesa dell’Amrita verso il fuoco gastrico dove verrebbe bruciata, mentre così siamo in grado di trattenerla. (Questo mudra, così come tutto ciò che riguarda l’Amrita, sarebbe un aspetto da approfondire, tenendo poi conto che noi occidentali non arriviamo a seguire in tal senso compiutamente le prescrizioni contenute nella Gheranda Samhita e nell’Hatha Yoga Pradipika. Questo per ovvi motivi.)
Durante l’espiro scendiamo all’interno dello stelo fino a Muladhara dove sospendiamo il respiro per visualizzare le radici, veicolando così questo contatto raggiunto con l’Assoluto fino a portarlo compiutamente nel mondo, per portare il regno dei cieli sulla terra.
(Questo anche se nella coscienza di chi è consapevole e cosciente dell’unione trascendente di ogni cosa, tutto ciò che esiste è il Brahman, l’Assoluto. Nello stato di coscienza ordinario però la maggior parte delle persone ne hanno perso la consapevolezza, anche se nel proprio inconscio comunque conoscono la verità. In Prajna Sthana, la condizione di sonno senza sogni, tutti hanno l’esperienza dell’Assoluto.)
Da Sahasrara, nell’aldilà, dal cosmo, riportiamo in noi attraverso il nostro “Merudanda” la potenza generatrice del Prana Cosmico nel mondo, radicandola attraverso delle bianche radici nel nostro piano materiale con la purezza che gli è consona. Per portare a noi la vera Vita.

*La sequenza originale è stata creata (oppure come dice lui “ricevuta durante una meditazione profonda” da Swami Satyananda Saraswati).

Le sette sfere della coscienza

Nella tradizione induista esistono sette sfere di coscienza, che qualcuno definisce mondi. Come molti di voi sapranno vengono definiti chakra, che in sanscrito vuol dire ruota, e su di essi sono stati scritti molti libri. In realtà non tutto ciò che avete letto corrisponde alla tradizione indiana, perché negli anni molti autori occidentali hanno dato interpretazioni proprie.

Avrete letto che i chakra sono i centri energetici del corpo umano, che bisogna sbloccarli per far fluire l’energia vitale, il prana. Ebbene, tenendo in considerazione il testo fondamentale che per primo nel tredicesimo secolo definì i chakra come vengono considerati nella tradizione yogica più pura, il Sat Chakra Nirupana (testo fondamentale del shivaismo tantrico kashmiro), le cose non stanno esattamente così.

Sat Chakra Nirupana significa letteralmente “descrizione dei sei centri (o ruote)”, quindi addirittura ci troveremmo a non averne sette, ma sei. Questo perché il settimo “centro” essendo in contatto con la divinità non viene più considerato un chakra.

Nelle descrizioni dei vari chakra che si trovano nel trattato troviamo sia singole divinità femminili (Shakti) e sia quelle maschili (Shaktiman), che rappresentano la potenza agente e il possessore della stessa (tema che sarebbe molto vasto), che vengono raffigurate con varie teste e braccia, dove ognuna tiene in mano oggetti che a loro volta hanno nella tradizione induista un significato preciso.

Troviamo, per ogni chakra, gli animali che sono i veicoli di manifestazione dello stesso nel mondo, simboli vari, colori, il bija mantra (o suono seme), oltre a un numero di petali, di colori diversi a seconda del chakra.
La somma dei petali di tutti i sei chakra corrisponde a 50, il numero delle lettere dell’alfabeto sanscrito. (Il settimo centro viene anche definito “il fiore di loto dai mille petali”.)

Questa breve descrizione la potete trovare anche nel mio libro.

Spesso e volentieri mi è capitato di parlare con persone dei chakra, e vi confesso che è un tema sul quale molti pensano di saperne tanto, mentre è un tema così vasto che è difficile poter dire che sia così.

Io stesso, pur avendo letto molti libri al riguardo, e avendo frequentato una scuola Hatha Yoga d’indirizzo tantrico, devo dire che le convinzioni che abbiamo secondo me andrebbero riviste.

Da un lato un testo come il Sat Chakra Nirupana, del quale potete trovare in italiano un’ottima dissertazione ne “Il potere del serpente” di Arthur Avalon, dove troverete pure una traduzione del testo stesso, descrive dei mondi, delle sfere di coscienza che in molti insegnamenti sono considerati dei simboli, dei passaggi da superare per liberare la forza creatrice, definita anche Kundalini, dall’altro abbiamo un mare di libri che spiegano come liberare queste energie attraverso esercizi e posizioni.

Esistono innumerevoli sistema diversi di chakra. C’è chi dice che siano 5, chi 12, chi 28.

Se questo sistema però è reale come affermano alcuni veggenti che dicono di vedere questi vortici d’energia, perché non sempre corrispondono? Perché c’è chi dice altro?

Nelle descrizioni del testo in ogni mano le divinità tengono oggetti che sono necessari secondo il Sat Chakra Nirupana, ma non vengono descritti in profondità. Questo semplicemente perché l’insegnamento reale che veniva dato dai maestri di un tempo era occulto, e quindi certe spiegazioni ed esperienze potevano essere passate solamente a chi era pronto a superarle.

Dello Yoga poi esistono molte forme, addirittura alcune che sono in conflitto, a livello filosofico, tra di loro.

C’è chi considera l’Hatha Yoga parte del Raja Yoga, chi invece lo considera la “vera via dello Yoga”, ma mentre nell’Hatha Yoga la realizzazione del sé si realizza solamente nel corpo, secondo il Raja Yoga (del quale forse conoscerete i Yogasutra di Patanjali) il corpo deve essere trasceso, essendo visto come un limite.

Le due forme conosciute di Kundalini Yoga sono diverse.
C’è quello di Yogi Bhajan, e poi c’è quello del shivaismo tantrico kashmiro.

C’è il Kriya Yoga di Paramahansa Yogananda, ma c’è anche quello di Satyananda Saraswati.

Esiste il Karma Yoga, il Bhakti Yoga, lo Jnana Yoga, l’Ashtanga Yoga, senza dimenticare l’approccio dello Yoga integrale di Sri Aurobindo e potrei continuare…Addirittura esistono sul web molti articoli che vi guidano a scegliere la forma di Yoga più adatta a voi.

Yoga in sanscrito vuol dire letteralmente “unione”, e l’unione che il praticante dovrebbe cercare è quella con Dio.

Cosa c’entra tutto questo con i chakra?

Avete già mille libri da leggere sul come dovreste risvegliare le energie sopite nel “serpente alla base del Muladhara”(il primo chakra). La mia intenzione è quella di farvi fare uno step in un’altra direzione.

Quando volete conoscere un tema non fermatevi al primo che afferma di conoscerlo veramente, ma nemmeno al secondo o al terzo… Questo ovviamente vale anche per quello che io vi scrivo.

Negli anni ho studiato innumerevoli strade spirituali, e pure in cammini che dovrebbero essere simili ho trovato, e troverete, delle differenze enormi sui significati e sulle attribuzioni dello stesso simbolo.

Le risposte sono molteplici e non sono definitive.

Avrei potuto scrivere fiumi di parole sul come attivare i chakra e secondo quale tradizione. A me interessa invece che voi troviate le vostre risposte alle vostre domande, che non vi fermiate a ciò che io o chiunque altro scrive.

I chakra sono dei simboli, non sono la verità. E funzionano.
Se ci credete.

Così come se credete nella potenza del rosario, delle tecniche sciamaniche o di quelle cabalistiche.

C’è però una forza che trascende tutte le tradizioni, e che nessun essere umano potrà mai spiegare in maniera compiuta.
Un essere umano “finito” non potrà mai descrivere, o comprendere compiutamente l’infinito essere che chiamiamo “Dio”.

Lavorate sui chakra? Continuate a farlo. Ma ricordatevi che in ogni tradizione popoli diversi hanno trovato altre risposte adatte alla loro forma mentis.

Nel mio libro “Sposta le tue montagne” uso i chakra come sistema concettuale già conosciuto, che non è la “Verità”, ma un modo attraverso il quale è stata interpretata.

Secondo i cabalisti nessun essere umano percepisce la realtà per quella che è. Tutte le culture hanno dato delle interpretazioni per cercare di spiegare l’inspiegabile, Dio.

In mezzo a questi tentativi si sono create tradizioni e visioni che hanno avuto il loro impatto sulla nostra realtà di consenso.

I sette chakra esistono nella modalità che riteniamo reale.

Lo stesso Charles Webster Leadbeater, membro della Società Teosofica fondata da Helena Petròvna Blavatsky e considerato da alcuni uno dei massimi veggenti del 20° secolo, in un suo libro scrisse che i chakra sono diversi da come li descrivono da secoli gli indiani.

Lui diceva di averli visti. Pare che la maggior parte dei testi occidentali sui chakra si siano ispirati alle sue visioni.

Tra l’altro però era stato anche accusato, secondo varie fonti, di abusi nei confronti di vari ragazzi che erano cresciuti sotto l’egida della Società Teosofica.

Non tutti i cosiddetti “maestri spirituali” sono brave persone.