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Autobiografia di uno Yogi

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Vi propongo nuovamente un libro che è stato molto importante nella mia ricerca spirituale. Meraviglioso.

Ci sono libri che non raccontano solo una storia. Ti aprono un varco.
“Autobiografia di uno Yogi” è uno di quei libri. Non è un trattato, non è un manuale.
È un viaggio, scritto da chi quel viaggio l’ha fatto davvero.

Paramahansa Yogananda, nato in India a fine Ottocento, cresciuto tra la ricerca interiore e la modernità che avanza. Un uomo con un piede nel sacro e lo sguardo nel futuro. La sua voce attraversa la pagina con naturalezza, senza forzare mai. Non predica. Non seduce. Racconta.
Il libro inizia in India, con l’infanzia di Mukunda (questo il suo nome di nascita), e la sua precoce tensione verso l’assoluto. Ma il senso non è nell’infanzia straordinaria, né nelle visioni. È nel modo in cui la sua vita si muove: senza fretta, senza sbandamenti.
Una lunga ricerca del suo maestro, che culmina nell’incontro con Sri Yukteswar.

Lì inizia un altro viaggio, invisibile: il lavoro interiore, il disarmo dell’ego, la disciplina. Tutto narrato con una semplicità che non banalizza nulla.
Ed è proprio da Sri Yukteswar che riceve un compito che cambierà la sua vita – e quella di molti. Portare lo yoga in Occidente.

Non come ginnastica, non come esotismo spirituale. Ma come scienza dell’anima. Una trasmissione viva, da maestro a discepolo. Un filo invisibile che attraversa gli oceani.

Ogni capitolo è un incontro: Lahiri Mahasaya, Babaji, Ram Gopal, e altri personaggi che sembrano appartenere a un altro tempo. Eppure il tono resta sempre sobrio. Non c’è enfasi. Non c’è la voglia di impressionare. I miracoli ci sono, ma non vengono esibiti. Sono parte della vita, come il respiro.

Chi legge non è invitato a credere. È invitato a sentire. Yogananda parte per l’America nel 1920. Parla a folle immense, fonda centri spirituali, incontra presidenti, scienziati, curiosi e scettici. Porta con sé il Kriya Yoga, ma soprattutto un’idea: che la scienza dello spirito non sia proprietà di una religione, ma un’eredità umana. Non chiede di convertirsi. Chiede di sperimentare.

Nel racconto della sua vita, si sente la fedeltà a una ricerca che non ha ceduto mai. Anche quando era circondato da applausi, da discepoli, da riconoscimenti. Resta un uomo che cammina. Che ascolta. Che continua a cercare, anche dopo aver trovato.Per questo il libro continua a parlare.
A chi è deluso dalla religione, ma non dalla spiritualità. A chi intuisce che la verità non può essere tutta nei libri, ma che sa che nei libri può trovarne dei frammenti. A chi sente che l’invisibile non è altrove, ma dentro di noi.

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