Quando, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, le macerie morali e materiali lasciate dal conflitto spinsero le nazioni vincitrici a immaginare un mondo più giusto, nacque l’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Era il 1945 e, tra gli ideali fondanti, c’era la promessa di garantire la pace, tutelare i diritti umani e offrire un luogo di dialogo tra i popoli.
Un’idea nobile, sì.
Ma già dalle prime mosse dell’ONU emersero i suoi limiti strutturali, limiti che oggi appaiono sempre più evidenti, al punto da renderla — così com’è — quasi inutile.
Uno dei primi atti “storici” dell’ONU fu la Risoluzione 181 del 1947, con cui si decise la creazione dello Stato d’Israele.
Una decisione presa da potenze che conoscevano poco o nulla della realtà sul campo, in particolare del popolo palestinese, che si vide privato di una terra abitata da generazioni.
Quella risoluzione, pensata per risolvere un conflitto, ha invece aperto uno dei capitoli più lunghi e dolorosi della storia contemporanea.
Ma l’esempio forse più lampante dell’impotenza dell’ONU è il suo Consiglio di Sicurezza, il vero cuore decisionale dell’organizzazione.
Qui siedono 15 membri, di cui 10 a rotazione e 5 permanenti: Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia.
Questi ultimi hanno un privilegio unico: il diritto di veto.
In pratica, se anche l’intera comunità internazionale fosse d’accordo su una risoluzione, basta un “no” di uno di loro per bloccarla.
Questo meccanismo ha reso l’ONU un’istituzione incapace di agire nei momenti cruciali della storia moderna.
Gli esempi sono innumerevoli:
2003, Guerra in Iraq: Gli Stati Uniti, senza mandato ONU, invadono l’Iraq.
Quando il Consiglio cerca di condannare l’intervento, gli USA pongono il veto. Risultato? Nessuna sanzione, nessuna conseguenza.
2022, Invasione dell’Ucraina: La Russia, membro permanente, invade uno stato sovrano. Qualsiasi tentativo di condanna ufficiale da parte dell’ONU viene bloccato dal suo stesso protagonista.
Gaza e Palestina: Decine di risoluzioni di condanna contro Israele per violazioni del diritto internazionale sono state regolarmente bocciate dal veto degli Stati Uniti, alleati storici di Tel Aviv.
Ecco alcune tra le risoluzioni più clamorosamente bloccate:
Condanna dell’invasione di Panama (1989) da parte degli USA.
Sanzioni contro Israele per l’espansione degli insediamenti nei territori occupati (più di 40 risoluzioni bloccate dagli anni ‘70).
Risoluzioni contro il genocidio in Ruanda (1994), dove l’inerzia dell’ONU ha avuto conseguenze devastanti.
Questa situazione paradossale racconta perfettamente quanto il dibattito internazionale sia ostaggio della propaganda e degli interessi delle grandi potenze. Tuttavia, qualcosa sta cambiando.
Negli ultimi anni, la geopolitica mondiale si sta lentamente spostando da un ordine unipolare a uno multipolare.
Nuove alleanze, nuovi blocchi economici e regionali stanno emergendo. Le voci del Sud globale si fanno sentire con più forza.
L’Africa chiede giustizia. L’America Latina rivendica autonomia. L’Asia si riorganizza come nuovo centro decisionale.
E proprio in questo scenario in fermento, l’ONU potrebbe ritrovare il suo senso più profondo.
Le richieste di riforma del Consiglio di Sicurezza, avanzate da paesi come India, Brasile, Sudafrica e Nigeria, sono sempre più pressanti. Non si tratta solo di aggiornare un meccanismo nato in un altro secolo, ma di restituire dignità e rappresentanza a miliardi di persone oggi escluse dai processi decisionali globali.
La speranza è che l’ONU, liberata dalle sue zavorre storiche, possa finalmente evolversi in ciò che avrebbe dovuto essere fin dall’inizio: una casa vera per tutte le nazioni, non solo per le più forti. Un luogo dove la giustizia internazionale non sia ostaggio del potere, ma uno strumento per garantire diritti, pace e dignità a ogni essere umano.
Un sogno difficile, ma non impossibile. Perché anche le idee fragili, se condivise da molti, possono cambiare il mondo.
Molto ben articolato e spiegazioni, molto dettagliate e semplici. Grazie mille
Grazie a te! 😃😘
Grazie Marco. Quanto alla risoluzione ONU del 1947 si trascura in occidente che più della metà degli abitanti di Israele provengono dai territori arabi, persino dal Pakistan. In quegli anni furono cacciati, quando non uccisi, e persero tutto. La domanda è dove sarebbero dovuti andare? Ho un amico la cui famiglia veniva dallo Yemen e parla arabo a casa. Loro erano lì dalla diaspora babilonese, cioè almeno 1000 anni prima dell’arrivo dell’islam. Idem si potrebbe dire degli armeni il cui quartiere a Gerusalemme si svuoto’ nel 1918 perché vennero sterminati. Con questo non voglio certo giustificare i coloni israeliani in Cisgiordania o quanto sta accadendo a Gaza. Solo che i punti di vista sono diversi a seconda dei popoli, compreso quello dei russi che secondo me sono stati invasi dalla NATO
Breve breve…si chiama ONU…si legge clan…ometto aggettivo